Lasciamo Port Augusta di primo mattino, insieme ai pescatori. In questa parte di Australia, in questo periodo dell’anno per lo meno, soffia sempre un gran vento. Nei prossimi due giorni macineremo molti km per raggiungere Uluru. La tappa intermedia è Coober Pedy, una città sorta nel deserto in una zona ricca di opali, fondata da cercatori di fortuna e minatori. Per raggiungerla dobbiamo percorrere 542 km lungo una lingua di asfalto rossastro che corre dritta (ma non perfettamente rettilinea) nell’outback.
Lungo le strade dell’outback si incontrano di tanto in tanto le roadhouses: non sono altro che stazioni di servizio che, trovandosi per lo più nel bel mezzo di niente, sono super fornite di qualunque cosa – dai generi di prima necessità al barbiere. Vi si trovano personaggi interessanti, a volte bizzarri, a volte pazzeschi. Polverose e anonime, oppure fiorite e colorate, sono delle vere e proprie oasi, dove riposarsi dalle tante ore di strada, dove rifocillarsi con una pie o dissetarsi con una birra (attenzione a bere se si deve guidare, in Australia sono molto rigidi: il tasso alcolemico massimo consentito è 0,05%).
La prima roadhouse che incontriamo è Spud’s, nella minuscola Pimba con i suoi 50 abitanti. Più avanti, facciamo una sosta al Lake Hart, un grande lago salato sulla sponda del quale corre la ferrovia. Ancora più a nord, ci fermiamo a Glendambo, dove facciamo rifornimento prima di lasciarci alle spalle ogni segno di umanità per i restanti 255 km che ci separano dall’arrivo.
A Coober Pedy arriviamo nel pomeriggio, dopo un pranzo pic-nic nell’outback. La città ha quell’atmosfera da città fantasma che riporta alla mente in qualche modo i villaggi del Far West. Avvicinandoci alla città, iniziamo a vedere buche un po’ ovunque, con divertenti cartelli che invitano a non caderci dentro. La cittadina appare piuttosto sonnolenta, pochi escavatori sono all’opera (è sabato). C’è un’atmosfera da film post-apocalittico, e probabilmente è proprio per questo che molti film post-apocalittici sono stati girati qui (Pitch Black – andate alla ricerca della navicella spaziale rimasta dal set del film – Mad Max, ma anche Priscilla, la regina del deserto).
Ci fermiamo all’Old Timers Mine, una miniera resa museo dove è possibile vedere le case sotterranee in cui vivevano i minatori (in superficie le temperature possono raggiungere, in estate, anche i 50°C). Ci armiamo di elmetto e ci addentriamo nel labirinto di cunicoli. Dopo di che, torniamo in paese e visitiamo la Chiesa sotterranea dei Santi Pietro e Paolo, un piccolo gioiello nella desolata Coober Pedy. Infine, gironzoliamo infilandoci in vari negozietti, per lo più tetri e polverosi, forse reduci da tempi migliori o forse no; il più assurdo è un negozio alla cui entrata pende una di quelle tende di plastica colorata, dentro, in un’atmosfera tetra e umida, ci troviamo faccia a faccia con statuette religiose e con un ometto invadente che ci saluta chiamandoci “Compari”. Concludiamo il giro con una rapida spesa al supermarket in previsione della cena in campeggio.
Ancora oggi Coober Pedy è una città dove si vive sottoterra, in particolare durante l’estate: molti hotel o B&B e addirittura un campeggio offrono la possibilità di passare la notte sottoterra. Noi, avendo con noi il nostro Berthie, abbiamo passato la notte in un campeggio “tradizionale”, ma deve essere davvero un’esperienza unica.

La mattina successiva – è il nono giorno di viaggio – lasciamo Coober Pedy prima dell’alba perché ci aspettano 734 km di strada per arrivare a Uluru. Guidiamo lentamente nel buio del mattino, la strada illuminata dai fari e le antenne dritte per non investire animali incauti (uno degli incontri più sgradevoli del viaggio sono le innumerevoli carcasse di animali – tra cui anche canguri e mucche – che costellano la riva della Stuart Highway). A poco a poco il sole fa capolino all’orizzonte, il cielo diventa sempre più chiaro. Ci fermiamo a fotografare l’alba e a fare colazione investiti dai raggi del sole nascente.

Rimontiamo sul van e guidiamo e guidiamo, mentre dal finestrino l’outback scorre immutato. Al Kulgera Pub facciamo una breve pausa per sgranchirci le gambe. Presto ripartiamo perché ci separano ancora oltre 300 km da Uluru, la nostra destinazione. Guidiamo in direzione nord fino a Erldunda, dove svoltiamo verso ovest. A metà strada, incontriamo il confine tra il South Australia e il Northern Territory. Percorriamo gli ultimi km cercando di scorgere il famoso profilo di Uluru in lontananza. Come è forse capitato ad altre decine di turisti, ci facciamo fregare dal Mt Conner, che a prima vista potremmo scambiare per Uluru se non fosse che lo incontriamo un centinaio di km prima del previsto.
Infine giungiamo a Yulara, il villaggio accanto a Uluru dove sorgono tutti i servizi turistici, compreso il nostro campeggio. Yulara è caotica e piena zeppa di turisti, un grande trauma dopo i giorni trascorsi in quasi completa solitudine lungo le strade dell’outback. Ci mettiamo in fila per registrarci al campeggio, troviamo la nostra piazzola e ci concediamo un aperitivo per premiarci: abbiamo raggiunto Uluru prima del tramonto.

Qui il video della terza puntata lungo l’Explorers Way – Enjoy!
:::Info pratiche:::
Dormire
Coober Pedy: Stuart Range Outback Resort, all’ingresso della città, è un campeggio dotato di tutti i servizi e anche – per i più coraggiosi – di una pizzeria…
Yulara (Uluru): l’Ayers Rock Campground è l’unico campeggio dell’area, a brevissima distanza dal centro dei serivizi di Yulara, dove troverete anche un supermarket piuttosto rifornito. Vi consigliamo di prenotare la piazzola online perché il campeggio è molto gettonato.
Mangiare
Outback: Fate come noi e godetevi il piacere di un picnic nell’outback. In alternativa, le roadhouses lungo la strada offrono pasti semplici a prezzi ragionevoli.
Guidare
Km percorsi: circa 1300
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