Sapete che amiamo le avventure e siamo appassionati di trekking, quel tanto che basta a farci cercare in ogni viaggio un sentiero unico da percorrere. Abbiamo chiesto alle Travel Blogger Italiane di unirsi a noi e di raccontarci i trekking più emozionanti dei loro viaggi ed è nato così questo articolo: emozionale, vissuto, raccontato in prima persona da chi quel sentiero l’ha percorso, quella vetta l’ha raggiunta. Perché è così che vogliamo ispirarvi a viaggiare: tramite le emozioni.
Australia: bushwalk lungo il Jibbon Loop Track

Testo e fotografia di Claudia @ Diario dal Mondo
Sydney è una meravigliosa città immersa in una natura ancora più bella ed è facilissimo trovare polmoni verdi dove fare stupende passeggiate, conosciute in Australia come bushwalk. Uno dei parchi più belli da esplorare è senza dubbio il Royal National Park, il parco nazionale più vecchio d’Australia e il secondo più vecchio del mondo insieme a Yellowstone negli USA. Con oltre 150 chilometri quadrati di estensione, offre tantissime passeggiate, più o meno lunghe e adatte a ogni livello di fitness. La mia preferita e quella che senza dubbio mi ha emozionato di più è il Jibbon Loop Track di Bundeena, una piccola comunità di circa 2000 abitanti nell’angolino a nord-est del parco, circondata dall’oceano e dal Royal National Park. Questa passeggiata piuttosto semplice parte dal pontile del traghetto fino a Jibbon Head, Port Hacking Point e Shelley Beach, passando da Jibbon Beach. È una camminata molto panoramica e adatta a tutti i livelli di fitness, anche se comporta camminare lungo la spiaggia, su trail non battuti e su alcune rocce.
Lungo tutta la passeggiata si può ammirare Port Hacking in tutta la sua bellezza verso Cronulla, il Botany Bay National Park a nord e la città in lontananza. E se capitate da queste parti tra maggio e novembre potreste avere la fortuna di fare un po’ di whale watching e ammirare una delle molte balene di passaggio al largo della costa.
Ma quello che rende questa bushwalk speciale è il fatto che passi luoghi particolarmente importanti per le popolazioni aborigene che hanno vissuto qui per migliaia di anni. Lungo Jibbon Beach ad esempio passerete un tumulo vecchio di 3000 anni di conchiglie, ossa e utensili, prove delle migliaia di anni di caccia, pesca e cucina delle tribù dei Dharawal in questa zona. Poco più in là si trova l’Aboriginal engravings site, dove è possibile ammirare incisioni vecchie di oltre 2000 anni: è uno dei siti meglio conservati in tutta Australia e se guardate attentamente nelle rocce in fronte a voi riuscirete a distinguere le sagome di alcuni animali, come un canguro e l’enorme orca sacra.
Ho molto amato il Jibbon Loop Track in Bundeena. È una passeggiata semplice e molto piacevole, che alterna sentieri nel bush a quelli in spiaggia, con un costante panorama spettacolare e la possibilità di fare un tuffo per rilassarsi in ben 3 spiagge. Insomma, una passeggiata che raccomanderei a tutti, incluse famiglie con bambini al seguito – noi l’abbiamo fatta con un bimbo di 13 mesi nello zaino!
Bhutan: salita al monastero Tiger’s Nest

Testo e fotografia @travelgudu
E ora veniamo a noi, ad un trekking davvero unico: quello per raggiungere l’isolato monastero Tiger’s Nest (Paro Takstang), in Bhutan, a 3120 m di altitudine nel cuore delle montagne himalayane.
È una mattina di gennaio ed è ancora presto quando arriviamo ai piedi della montagna. Iniziamo la salita attraversando un bosco. Siamo gli unici occidentali: con noi salgono alcune famiglie, nonne e nonni al seguito, che con passo svelto ci superano portando sulla schiena le offerte per i monaci. Tutti i bhutanesi indossano gli abiti tradizionali: il gho per gli uomini e la kira per le donne. La nostra guida, Pelyig, ci precede di qulche passo lungo il sentiero. Canticchia una melodia per quasi tutto il tempo, una nenia sommessa, non sappiamo se sia un canto sacro o magari soltanto una canzone pop bhutanese.
La salita al monastero Paro Takstang è per i bhutanesi un pellegrinaggio: lassù, in una grotta proprio dietro il monastero, Guru Rimpoche meditò per tre anni tre mesi tre settimane e tre giorni. Le persone salgono al monastero come forma di devozione o ringraziamento, portano offerte ai monaci e tornano a valle più leggeri, a livello fisico e metafisico.
A metà percorso si raggiunge una prima tappa: troviamo le ruote di preghiera. Le facciamo girare insieme ai fedeli e lo scampanellio si diffonde tra le montagne, benedicendo ognuno di noi. Proseguiamo la salita. Il fondo del sentiero è piuttosto mal messo e il percorso è piuttosto impegnativo. Per un tratto un cane nero sbucato da chissà dove ci accompagna, silenzioso. Inizia a fare freddo, l’aria è sottile e ad un certo punto inizia a scendere una neve sottile e ghiacciata. Stiamo quasi per perderci d’animo quando, svoltato l’angolo, eccolo, dritto davanti a noi: il Tiger’s Nest! È proprio di fronte a noi, ad un tiro di sputo, non fosse che a separarci c’è un profondo burrone! Scattiamo un paio di foto (in cui io sono diafana di fatica) e ripartiamo. Fa freddo, l’ho già detto? Dopo un po’ raggiungiamo una casupola di legno: è la casa delle candele votive. In passato le candele di burro di yak erano all’interno dei templi, ma dopo che alcuni incendi si sono sviluppati proprio dalle stanze delle candele, attualmente i ceri sono custoditi in un edificio staccato dai complessi religiosi. Ci affacciamo all’interno: c’è un fumo nero e denso che avvolge tutto, le fiammelle delle candele osservano la montagna dall’alto. Acquistiamo un cero e lo accendiamo: brucerà per una settimana. Il monaco ci offre una tazza di the con latte e biscotti: è dolcissimo e caldo e berlo lì, nel cuore dell’Himalaya guardando un monastero irraggiungibile in mezzo ai volti tondi e sereni dei bhutanesi non ha prezzo.
Ripartiamo, rinfrancati dall’ospitalità ricevuta; per raggiungere il Paro Takstang restano millemila scalini in discesa ed altrettanti in salita. Li scendiamo e poi risaliamo tutti, circondati da colorate bandiere, finché arriviamo alle porte del monastero. Entriamo, l’atmosfera è solenne e un po’ mistica. Lasciamo le scarpe all’esterno del tempio e scalzi calpestiamo il pavimento gelato. Ci bagniamo il capo e le labbra con l’acqua alla canfora, ci inchiniamo nel tempio. Quassù è tutto così mistico che non occorre essere buddisti per accorgersene.
Cina: trekking nelParco di Huánglóng

Testo e fotografia di Federica @My Travel Planner
Prima di comprare una guida della Cina, confesso che non avevo mai sentito parlare né del Parco di Huánglóng né del Sichuan, la regione cinese in cui si trova. Mi aveva però colpito subito la descrizione che ne veniva fatta ancor prima di vedere delle immagini. La guida parlava di piscine naturali dalle acque incredibilmente azzurre e di un paesaggio incontaminato ad alta quota punteggiato da templi maoisti. Ne ero subito rimasta affascinata.
Era per me una meta sconosciuta, ma poi si è rivelata essere uno dei luoghi che più mi sono rimasti impressi nella mia vita di viaggiatrice. Non a caso è un sito Patrimonio dell’Unesco dal 1992.
Per visitarlo sono atterrata a ben 3.448 metri s.l.m. nell’aeroporto di Jiuzhaigou. Dal momento che sono scesa sulla piccola pista fra le montagne mi sono resa conto di essere in una Cina a me sconosciuta. Non più grattacieli grigi e modernità, ma montagne imponenti ed alti alberi a circondarmi.
Dopo un breve tratto in auto sono arrivata al punto di partenza dell’escursione che, in circa due ore di facile cammino, porta al punto più scenografico a 3.576 metri. Il percorso è facile come pendenza, ma molto impegnativo per l’altitudine. Si va facilmente in debito di ossigeno, ma si viene distratti dal paesaggio che ti circonda.
Huánglóng in cinese significa drago giallo. Le montagne infatti sono costituite di travertino dal tipico colore giallo oro e, guardandole, sembrano formare un grande drago disteso fra il verde della foresta. Questo particolare materiale, eroso dal ghiaccio, ha formato nei secoli delle piscine naturali e, a seconda del materiale con cui si è legato, ha assunto diverse colorazioni. Quando si sciolgono le nevi dei ghiacciai o nella stagione delle piogge, l’acqua va a riempire le piscine assumendo essa stessa colori diversi. In alcune piscine l’acqua è quasi gialla, in altre turchese. In altre ancora verde smeraldo. La zona delle piscine, chiamata Wucai Chi, era la mia meta, ma mi sono goduta l’intero percorso. C’erano pochissimi turisti e, per questo, mi sembrava ancora di più di essere in un luogo remoto.
Lungo il percorso ho incontrato un tipico tempio taoista isolato in mezzo alla natura. Appese al portone, c’erano le sciarpe bianche di benvenuto che si usano in questa zona. E, fuori, le tipiche ruote tibetane delle preghiere. Perché qui, non lontano dal Tibet, si sono rifugiati tanti tibetani in fuga dopo la repressione cinese portando la loro bellissima cultura a Diego aggiungere fascino al paesaggio naturale. L’atmosfera, davvero meditativa, mi ha accompagnato fino alla mia meta: la zona delle piscine colorate. All’arrivo, i miei occhi quasi non credevano a quello che vedevano tanta era la meraviglia che mi si era parata davanti. Una distesa di piccole piscine con acqua cristallina. Sullo sfondo un altro tempio e dietro le montagne innevate.Lo stupore era così tanto che risultava difficile realizzare di essere in un luogo reale.
Credo di non aver più visto un luogo così pieno di bellezza. Un ricordo sicuramente indelebile!
Giappone: trekking ai Cinque Laghi Shiretoko

Testo e fotografia di Daniela @ Noi con le valigie
Durante un viaggio in Giappone abbiamo avuto l’occasione di visitare la Penisola di Shiretoko, nell’isola di Hokkaido. Qui si trova lo Shiretoko National Park, uno dei parchi nazionali più belli e incontaminati di tutto il Giappone. Un luogo dove poche sono le strade asfaltate e dove molte zone sono visibili solo dai battelli o raggiungibili attraverso sentieri immersi nei boschi. Una zona dove è frequente incontrare da vicino animali selvatici come cerbiatti, volpi e a volte anche orsi: il parco è famoso per ospitare la più grande colonia di orsi bruni del Giappone.
In questo angolo di mondo numerosi sono i trekking di vario livello, per scoprire una natura davvero sorprendente; qui si può conoscere un Giappone come solitamente non ce lo si aspetta, ben lontano dalla frenesia e dalla modernità delle grandi città, una zona dove difficilmente si incontrano turisti occidentali, dove ci si trova immersi nel ritmo lento del Giappone più tradizionale.
Una delle tappe più suggestive nel parco sono i Cinque Laghi Shiretoko, i cosiddetti Shiretoko Goko, un insieme di cinque piccoli specchi d’acqua formati dopo un’eruzione del vicino Monte Io e alimentati da sorgenti sotterranee.
La zona offre splendide viste sulle montagne circostanti e sulla loro natura selvaggia, oltre alla possibilità di avvistare animali, tra cui orsi.
L’area comprende dei sentieri che si snodano tra i pittoreschi laghi in due percorsi: uno di tre chilometri (90 minuti) per ammirare i cinque laghi e uno di 1,6 chilometri (40 minuti) che raggiunge solo il primo e il secondo lago. Da maggio a luglio, periodo di picco di avvistamento di orsi, l’accesso ai percorsi naturalistici è possibile unicamente in gruppo, accompagnati da una guida locale, mentre nel resto della stagione i sentieri possono essere percorsi individualmente.
Avendo compiuto il nostro viaggio in agosto, abbiamo potuto girare in autonomia per i sentieri, non senza un po’ di apprensione per la possibilità di trovarci faccia a faccia con un orso… diciamo che ci siamo goduti la passeggiata, ma abbiamo tenuto gli occhi sempre ben aperti! Prima di poter accedere ai sentieri è necessario assistere ad una breve lezione che spiega cosa fare per evitare l’incontro con un orso e come comportarsi nel caso se ne avvisti uno. Una serie di suggerimenti che non nego abbiano messo in noi un po’ di apprensione per un rischio reale. Per fortuna durante il percorso (abbiamo scelto il sentiero più lungo) non abbiamo trovato traccia di orsi, ma ci siamo goduti la bellezza tranquilla e silenziosa dei cinque laghi.
Indonesia: trekking sul Vulcano Bromo

Testo e fotografia di Lara @ Viaggia Corri Sogna
Il Bromo è un vulcano attivo nell’isola di Giava. Siamo in Indonesia, e oggi ti porto in un bel trekking da fare all’alba.
Sono partita dall’Hotel Cemara Indah, alle 3.00 del mattino, per raggiungere il primo punto di osservazione sul monte da cui assistere allo spettacolo delle prime luci del giorno. La camminata è molto semplice, di circa un’ora. Se invece preferisci raggiungere il Seruni Point, ovvero il secondo punto panoramico più in alto, calcola di metterci un’altra ora, ma diciamo che non è proprio in sicurezza.
Per godere al massimo di questo splendido paesaggio, mi sono vestita a strati e soprattutto mi sono procurata una coperta per coprirmi, o meglio era la coperta del volo internazionale che presi da Venezia. Siamo a 2400 metri di altezza e le temperature sono intorno allo 0. Ovviamente immancabile una torcia, perché non c’è nessun punto di illuminazione. E poi mi sono rilassata in attesa dello spettacolo fino alle prime luci del mattino.
E, dopo una notte a guardare le stelle mi trovai difronte ad un contrasto di colori. Dall’azzurro del cielo, all’arancione dell’alba che ha riempito di magia il panorama attorno a me, e in lontananza vedevo il cratere ancora bello attivo e fumante.
Mi ricordo, ancora la felicità nei miei occhi alla vista di questo scenario, nonostante la levataccia che avevo fatto, e il freddo che mi era entrato nelle ossa. E anche in quel momento, non ho avuto dubbi, che la natura ripaga ogni fatica. Sicuramente non c’è modo migliore che iniziare una nuova giornata con il sorgere del sole e con un panorama mozzafiato.
Successivamente sono salita a vedere anche il cratere fumante. In fin dei conti, non capita tutti i giorni di vedere un vulcano ancora attivo. Presi il sentiero vicino all’ingresso del parco e con una semplice camminata di circa 40 minuti, in un paesaggio surreale chiamato anche “mare di sabbia” e 253 scalini, trovai il vulcano fumante con lo zolfo che mi arrivò dritto in faccia, ma con un’altra veduta che ha davvero dell’incredibile.
Laos: trekking nella giungla

Testo e fotografia di Elisa @ lisoladielisa
Un trekking nella giungla in Laos è un’esperienza incredibile e da fare almeno una volta nella vita. Dal confine con la Thailandia siamo giunti al villaggio di Luang Namtha dopo un tragitto in auto di quasi 4 ore guidando su una strada piena di curve che si inerpica sulla montagna, completamente immersa in una fitta foresta lussureggiante e fiancheggiata da torrenti e fiumiciattoli così marroni come solo i fiumi asiatici sanno essere. Per quasi due ore non incontriamo anima viva e ci lasciamo cullare da questo spettacolo della natura, accompagnati da grossi nuvoloni che coprono le cime delle montagne. Di tanto in tanto superiamo carretti e motorini e procediamo a passo d’uomo nei tratti di strada parzialmente interrotta dalle frane causate dalle ultime piogge torrenziali slittando sullo sterrato fangoso. Incrociamo piccoli villaggi di palafitte, diamo la precedenza a oche e cani randagi che attraversano la strada e salutiamo i tanti bambini che giocano scalzi a bordo strada. Nessun cenno di modernità, solo gli occhi sorridenti dei bambini che si rincorrono.
Il nostro trekking nell’area naturale protetta di Nam Ha inizia con una camminata di tre ore nella fitta vegetazione della giungla. Il sentiero è poco battuto e non di rado troviamo sbarramenti o torrenti da saltare. Nonostante sia pieno di farfalle colorate, il mio sguardo è sempre verso il basso alla ricerca di serpenti e sanguisughe da evitare (anche se la nostra guida in infradito mi prende in giro). Quando il caldo e l’umidità diventano insopportabili ci fermiamo in una piccola radura per il pranzo: i due ragazzi laotiani che ci accompagnano accedono un fuoco e preparano un delizioso pranzetto a base di zuppa cucinata nel bambù, insalata di cipolle e tofu piccante e tanto, tantissimo Lao Lao (il liquore nazionale). Dopo una pennichella ristoratrice ci rimettiamo in cammino sul sentiero stretto e fangoso, attraversando ruscelli e fermandoci ad ammirare strani insetti (che la nostra guida acchiappa al volo e mangia). Quando dopo 5 ore arriviamo sudati e con il fango alle ginocchia al villaggio di Nelan Neua siamo accolti da tanti bambini curiosi. Ci sembra di disturbare questo tipico pomeriggio nella giungla ma le giovani donne non fanno caso a noi: ci sorridono e riprendono le loro faccende con i neonati accoccolati nella fascia. È solo pomeriggio, ma le signore più anziane sono già all’opera con i loro pentoloni a cucinare chissà quale miscuglio. Galline, maiali, cani e anatre gironzolano indisturbati tra le case.
Il villaggio è costituito da circa 80 palafitte e ci sono 200 abitanti; non c’è corrente elettrica e l’unico bagno esistente (una turca in una baracca di legno) è stato installato due anni fa grazie a un progetto di cooperazione con un ente benefico tedesco che ha fatto costruire anche una piccola scuola. Per recuperare le fatiche del trekking nella giungla la guida mi dice gentilmente che posso fare un bagno nel fiume. L’idea mi sembra divertente prima di notare che la fogna a cielo aperto del bagno finisce nel fiume, due metri più in su.
Per le tribù della montagna l’acqua è una risorsa preziosa e viene considerata una divinità. Nel fiume vivono gli spiriti che garantiscono la sopravvivenza a centinaia di minoranze etniche in tutto il Laos, la cui esistenza purtroppo viene messa a rischio dall’avanzata cinese che con la costruzione di dighe, ponti, cementifici e fabbriche sta velocemente cambiando per sempre l’aspetto genuino e autentico di questo Paese.
Per cena le nostre instancabili guide ci preparano una cena deliziosa a base di maiale allo zenzero, sticky rice e salsa al chili, insalata di tufo grigliato e pomodoro. Tra un lao lao e l’altro diventa buio, i suoni della giungla si animano e noi finiamo a parlare delle loro religioni, buddismo e animismo; ridiamo tanto e faccio un milione di domande: più mi raccontano più voglio sapere. Alle 20 il villaggio è deserto. È cosi buio che si deve camminare con la torcia. Prendiamo posto nel nostro bivacco, ovvero una stuoia in terra in una palafitta di legno. L’ultima raccomandazione della guida mi lascia perplessa: “domani mattina sbattete gli scarponi prima di indossarli perché potrebbero esserci degli scorpioni!”. Dormire sul pavimento di legno non è facile, con l’ansia che tutti gli animali del mondo possano entrare e ucciderti. Siamo avvolti in una zanzariera ma nonostante questo un formicaio prende vita sui cuscini. Il maiale fuori dalla nostra finestra emette dei grugniti che rimbombano e la giungla si accende dei versi di mille uccelli e insetti. E quando finalmente alle 4 riesco a lasciarmi andare, noncurante dei ragni giganti che mi girano intorno e mi addormento, parte il canto dei galli, le anatre iniziano a starnazzare, il maiale si risveglia e riprende il suo concerto. Ecco il buongiorno di un villaggio sperduto sulla riva del fiume Nam Ha, a 5 ore di cammino dalla civiltà.
Malesia: a spasso tra le piantagioni di tè diCameron Highlands

Testo e fotografia di Simona @ travel2transformation
Le Cameron Highlands sono un altopiano situato tra i 1100 e 1800 metri slm a circa 300 km da Kuala Lumpur, capitale della Malesia. Per me che sono un’amante del trekking e del tè qui ho trovato il mio angolo di paradiso. Sono facilmente raggiungibili con bus di linea che partono giornalmente dalla stazione Kuala Lumpur KL Sentral. Il viaggio dura circa 3 ore, di cui l’ultimo tratto di tornanti che potrebbero mettere a dura prova chi come me soffre un po’ l’auto, ma il panorama mozzafiato che ti accoglie ne vale pienamente la pena.
Le Cameron sono composte da sei diversi paesini, personalmente ho scelto di pernottare a Tanah Rata perché offre un’ampia scelta di strutture ricettive e ristorantini a prezzi abbordabili. Da qui si diramano vari sentieri di breve percorrenza fino a qualche ora. Quello che mi ha colpita di più è stato il sentiero numero 10 che parte a poche centinaia di metri a sud del paese. Dopo circa 45 minuti in salita piuttosto faticosi si arriva ad un punto panoramico dove poter riprendere fiato prima di proseguire sul numero 6 che conduce nel cuore delle piantagioni di tè.
La prima parte è parecchio ripida e fangosa, almeno quando sono stata io, anche se in generale le Cameron Highlands sono famose per essere piuttosto uggiose, perciò è raccomandato avere un abbigliamento, e soprattutto scarpe adeguate a camminare. Dopo un’oretta circa nel bosco rigoglioso e tra grandi orti terrazzati, si scorgono i primi villaggi dei raccoglitori di tè finché improvvisamente sei completamente immerso nelle piantagioni a perdita d’occhio. Addentrarsi tra i filari osservando rispettosi i raccoglitori all’opera con le loro ceste colme di tè è stata per me una meravigliosa sorpresa.
Il sentiero termina alle piantagioni della Cameron Valley Tea, la seconda più grande della Malesia, fondata nel 1933. Qui è possibile degustare o comprare il tè, sebbene sia piuttosto turistica al punto che arrivando dall’ingresso principale anziché dal sentiero è richiesto un biglietto di ingresso per poter accedere al punto panoramico con un trenino elettrico. Felice quindi di aver goduto della quiete del suo “backstage” camminando in totale solitudine.
Nepal: l’Annapurna Circuit

Testo e fotografia di Raffaella @ Raf Around the World
Il mio primo viaggio al di fuori dell’Europa risale a 15 anni fa ed ha avuto come meta un Paese che ora occupa un posto speciale nel mio cuore: il Nepal.
Sono un’amante della montagna e del trekking, ma a quei tempi la mia esperienza in termini di escursioni si limitava alle Alpi Carniche e Giulie del mio Friuli e alle Dolomiti del Veneto e del Trentino Alto Adige.
Ora, quando da un gruppo di miei corregionali mi è stato proposto un trekking di due settimane in Nepal, ho sorriso all’idea ma non ho mai pensato che potesse trasformarsi in realtà. E invece, quattro mesi più tardi, mi sono ritrovata sul mio primo volo intercontinentale pronta (o quasi) ad affrontare l’Annapurna Circuit.
Questo celebre trekking, che può prevedere numerose varianti, si sviluppa tutt’attorno al massiccio dell’Annapurna, una delle 10 montagne più alte al mondo e offre delle viste mozzafiato sulle cime himalayane.
Il trekking prevede 16 giorni di cammino, quasi 200 chilometri da percorrere e un dislivello totale di diverse migliaia di metri. L’aspetto più affascinante dell’Annapurna Circuit è che, all’epoca, il percorso si svolgeva interamente su un territorio non attraversato da strade. Quindi dal punto di inizio (Besisahr) alla fine (Nayapool) l’unico mezzo di trasporto erano le gambe o il dorso di qualche animale. Oggi, con la costruzione di una strada che coincide con alcuni tappe iniziali del trekking, questa particolarità dell’Annapurna Circuit è venuta un po’ meno, ma l’intera esperienza rimane comunque un momento unico nella vita di un appassionato di trekking.
Relativamente alla logistica, abbiamo optato per dormire nei lodge locali (più o meno spartani) e rinunciare al campeggio che, anche se più economico, non contribuisce molto allo sviluppo dell’economia locale. Per i pasti, la sera si mangiava nello stesso lodge dove si dormiva, mentre il pranzo veniva consumato in lodge di passaggio lungo l’itinerario. Ho camminato portando sulle spalle un piccolo zaino contenente il necessario per la giornata, mentre il bagaglio più grade è stato affidato ai portatori.
Il trekking è meraviglioso, si sviluppa su facili sentieri o su interminabili scalinate di pietra e attraversa i paesaggi più disparati: dalle verdi valli punteggiate di risaie ad un paesaggio brullo (o innevato) di alta montagna fino ad arrivare alla foresta tropicale (con tanto di scimmie in libertà!).
Il punto più emozionante dell’Annapurna Circuit rimane però l’attraversamento del Thorong La che, con i suoi 5416 metri, è uno dei più alti passi di trekking al mondo. In quel momento, nonostante mi sentissi piccolissima tra quelle immense montagne, ho davvero avuto la sensazione di aver fatto qualcosa di straordinario!
Perù: salire la montagna Machu Picchu

Testo e fotografia di Barbara @ Wanderlustintravel
Nel corso degli anni ho fatto innumerevoli viaggi imparando che amo profondamente essere in contatto con la natura. Sapete quella connessione con la madre terra, nel toccare con i piedi nudi il terreno e respirare a pieno polmoni l’aria fresca che arriva? Ecco, quei brividi li cerco in ogni mia destinazione.
Allora decisi di fare un viaggio alla ricerca di me stessa, mettendomi alla prova per capire fino a che punto il mio corpo (e la mia mente) mi permettono di continuare: organizzai un viaggio in Peru, più precisamente a Machu Picchu.
Questo luogo sacro è stato costruito nel secolo XV dall’imperatore Inca Pachacútec. Per anni è stata denominata la “Città Perduta degli Inca” perché nessuno sapeva esattamente la sua posizione. Oggi, invece, è assalita da miliardi di turisti che vengono, soprattutto, per fare trekking nelle montagne circostanti, godendo di una visuale unica nel suo genere del sito archeologico. Io ho deciso di salire l’omonima montagna chiamata Machu Picchu, che ha una altezza di 3.082m slm.
Una volta arrivata alle rovine, mi sono subito registrata al chiosco per poter proseguire con la salita. Lì trovai un signore che con un sorriso sulle labbra mi augurò “buona fortuna” e mi informò che avrei dovuto affrontare all’incirca 1600 gradini, tutti fatti in pietra, pressoché in verticale. Mi disse anche che il tempo medio di salita era di circa 4 ore. “Niente male” ho pensato e ho imboccato il sentiero.
Voglio essere sincera con voi: è stato pesante. Il terreno era ripido, sterrato e in alcuni tratti molto vicino ai dirupi. Più salivo, più la fatica faceva da padrona. Parecchie volte pensai di tornare indietro. Chiunque incontrassi aveva lo stesso sguardo perplesso di chi si domanda in continuazione: ma quanto manca?
Ad un certo punto mi fermai, mi sedetti su quei gradini millenari e pregai la natura di mandarmi la forza di arrivare in vetta. Non sapevo quanto mancava, ma sapevo qual era il mio obiettivo. Sentivo sotto le mie mani il freddo dei sassi e un’ondata di energia mi invase.
Se vi dico che la forza di quel luogo è qualcosa di così magico e potente che ti spinge a continuare perché vuoi vincere contro la fatica, mi credete?
Mi alzai e continuai il mio cammino, riflettendo sulla mia vita, sulle decisioni e su quello che avevo conquistato fino a quel punto.
E, dopo quasi 2 ore e mezza di salita, finalmente ho conquistato i 3 mila metri!
Ancora oggi mi mancano le parole per spiegare quell’istante. La felicità mista sudore, la soddisfazione mista stanchezza e la pace mentale nel raggiungere un obbiettivo che mi ero prefissata. Cosa porto con me di quel momento? Che la resilienza ripaga, che il senso di gratitudine e pienezza lo avrai se non molli davanti agli ostacoli che la vita ci sottopone ma, soprattutto oggi, ho piena consapevolezza che il mondo ha cose che non si possono spiegare, ma soltanto sentirle!
Spagna, isole Canarie: trekking a Playa de Nogales

Testo e fotografia di Irene @ IreneIrie
Primo trekking da quando sono arrivata nell’isola de La Palma, l’isola più verde dell’arcipelago delle Canarie, chiamata anche “Isla Bonita” e qui vi dirò il perché…
Parcheggio l’auto, sono a Puntallana (nel nord) e per tutto il percorso che mi divide dalla spiaggia, sono circondata da scogliere ripidissime di un nero intenso, ricoperte da cespugli di fiori gialli e bianchi, cactus di diversa forma e dai diversi toni di verde, il territorio ne è ricoperto. La cosa più bella è vedere le piantine grasse uscire dalla roccia, la natura è pura energia, è vita!
Il percorso mi affascina, l’ultima parte che mi rimane a piedi per raggiungere questa spiaggia è una passerella di legno incastonata nella roccia modellata, a ridosso dell’oceano, con la terra rossiccia, che mi accompagnerà per la maggior parte del percorso. Il sentiero è ricoperto di pietre dai toni caldi rosso mattone, sabbia e ciottoli neri di origine vulcanica, cespuglietti di fiori bianchi piccoli, altri simili a margherite, la vegetazione non smette di stupirmi. Le onde che si infrangono sulla costa, creano una spuma bianca che fa contrasto con il blu dell’oceano e le sue mille tonalità, visibili ad occhio nudo, per non parlare dell’odore di salsedine, il vento che mi accarezza i capelli, i gabbiani che si muovono danzando nell’aria! Che sensazione di libertà!
Non conto più il tempo, non ricordo nemmeno quanto ci abbia messo a svegliarmi dal torpore di una vita che non mi sentivo mia, ma iniziare a viaggiare mi ha portato a tutto questo, in pace con me stessa e con ciò che mi fa davvero battere il cuore, ho ripreso a camminare passo dopo passo, ed ora sono qui.
Giriamo l’angolo ed eccola là: una striscia di spiaggia lunga e con sabbia nera molto fine, Playa de Nogales, una delle più selvagge del territorio, circondata da una parete rocciosa altissima sui toni del nero, grigio e rosso scuro, e dalla quale sbuca una vegetazione fitta fitta. Questa volta la spuma dell’oceano risalta bianco su nero, un contrasto che mi ha davvero ipnotizzata. Proprio “Bonita”, non trovi?
La Palma è una isola incredibile, e questa vista è ciò che l’ha resa il tesoro per eccellenza del mio viaggio alle Isole Canarie!
Arrivo e appoggio il telo, mi soffermo a guardare l’oceano e provo a staccare la spina della mia mente, allontano i pensieri, seguo il suono delle onde col mio respiro, mi annullo per un po’, mi metto con la schiena dritta, voglio respirare a pieni polmoni questa assoluta quiete.
Perché, ve lo assicuro, qui, ora, la vita mi sta dando vita.
Sri Lanka: l’alba dalla cima dell’Adam’s Peak

Testo e fotografia di Maria @ Obiettivo Altrove
Il trekking per raggiungere la cima dell’Adam’s Peak (2.243 m) rientra tra le esperienze che più mi hanno emozionata durante il mio viaggio in Sri Lanka. Il perché è facile da spiegare: si cammina di notte e, una volta arrivati in cima, si guarda il sole sorgere lentamente insieme a tutte le altre persone che sono riuscite ad arrivare in tempo.
Il Picco di Adamo non è un rilievo qualsiasi ma è considerato la montagna sacra dello Sri Lanka. Sulla sua cima, custodita tra le mura di un monastero, si trova un’impronta di piede. Secondo i buddisti appartiene a Buddha, per gli induisti a Shiva, e per cristiani e musulmani ad Adamo. Ed ecco spiegato il nome inglese della montagna. Più che un trekking, infatti, è una lunga camminata percorsa da migliaia di pellegrini e turisti.
Il bello della camminata-pellegrinaggio per la cima dell’Adam’s Peak è che è per tutti. Non serve essere escursionisti esperti, in quanto il percorso è un miscuglio tra una lunghissima stradina asfaltata e di pietra, e una scala dai gradini irregolari. Talvolta ci sono dei corrimano, che aiutano a reggersi. Nonostante ciò, non la salita non è da sottovalutare. Il costante dislivello di circa 1.000 metri si farà presto sentire su gambe e fiato. Nei giorni seguenti le mie gambe hanno protestato un po’, ma ne è valsa la pena.
Ripenso sempre con nostalgia a quella camminata così particolare e diversa da ogni altra che io abbia mai fatto finora. Dopo una partenza sotto la pioggia nel cuore della notte pensavo che una volta in cima non avrei visto che nebbia e nuvole. Nonostante questo, ho continuato a salire e il tempo per fortuna migliora. Finalmente si iniziano a scorgere le prime luci dell’alba filtrare tra il cielo nuvoloso… Sono arrivata in cima con i primi chiarori e appena in tempo per assistere all’alba, che, tenue e delicata, mi fa scoprire i dintorni dell’Adam’s Peak.
La discesa è stato un altro miscuglio di emozioni. Ho potuto vedere per la prima volta tutto il paesaggio circostante e scoprire dove avevo camminato la notte. Appena sorge il sole, le temperature si alzano notevolmente e il blu scuro lascia posto ai colori del cielo e dei colli.
Vissuto prima con il buio e poi sotto il sole cocente, tra escursionisti di tutte le nazionalità, con motivazione e soddisfazione, l’Adam’s Peak mi ha fatto vivere due trekking in uno.
Sud Africa: a spasso sulla Table Mountain

Testo e fotografia di Patrizia @ Sapori in Viaggio
È stato prima della pandemia, quando vivevo in Sudafrica, che ho visto la mia prima meraviglia del mondo naturale. Impossibile non notarla, anche durante l’atterraggio in aeroporto. Deve il suo nome alla forma piatta, tanto che la coltre di nuvole che spesso la copre viene appunto chiamata tovaglia. Tra le altre cose, è anche l’unico elemento naturalistico che da il nome ad una costellazione, che si trova nell’emisfero australe. Viene considerata il paradiso per gli amanti di trekking, escursioni ed arrampicate e non posso dargli torto. L’unica cosa che avrei cambiato della mia gitarella, sarebbe stata il periodo dell’anno. Durante il nostro inverno, là è piena estate e ricordo ancora il caldo che ho sofferto durante quella giornata, ma vogliamo parlare della ricompensa finale? Andiamo con ordine.
Ci sono diversi percorsi possibili per salire in vetta, suddivisi per difficoltà. Ho scelto quello intermedio, chiamato Skeleton Gorge, la Gola dello Scheletro. Non è un buon auspicio, ma ho deciso di provarci ugualmente. È un percorso di circa 5 ore sola andata e, mi accorgo solo dopo averlo terminato, anche dalle guide locali viene definito impegnativo. È un percorso molto ripido e in mezzo alla natura, quindi l’umidità è molto elevata. Generalmente, è l’inizio che mi crea più difficoltà, infatti è stato proprio il primo tratto in salita a togliermi letteralmente il fiato. Poco dopo iniziano le prime scale a pioli e le prime pareti d’arrampicata. Ovviamente nulla di insormontabile, anche perché io e la mia amica eravamo da sole, quindi prive di attrezzatura.
Dopo varie scalate e attraversamenti di guadi, sono arrivata ad un particolare lago dal colore rosso aranciato, conferitogli dai minerali di ferro contenuti nelle alghe che crescono sul fondale. Una sosta non me la toglie nessuno, così faccio un bagno veloce e mi preparo al tratto finale, sotto al sole cocente, per raggiungere la funivia del ritorno. Ormai, essendo quasi sul plateau, le salite sono diminuite e riesco a godermi appieno il paesaggio che mi circonda. Da qui si vedono la catena montuosa dei Dodici Apostoli, Signal Hill e Lions Head, tutti luoghi caratteristici di Città del Capo. Prima di scendere, stavolta in comodità, mi godo una fresca birra sulla terrazza naturale che è la Table Mountain. Fatica a parte, è una delle esperienze da fare almeno una volta nella vita.
Turchia: l’antica via Licia

Testo e fotografia di Francesca @Wanderbeach
Sulla catena montuosa del Tauro, si estende uno dei percorsi di trekking più belli della Turchia, con scorci a ridosso sul mare, tutto pazientemente segnalato con una piccola bandierina dipinta su alberi e rocce gialla e rossa che indica la direzione da seguire. Questo percorso è lungo circa 540 km, parte da vicino Fethiye fino ad arrivare ad Antalya, dura diverse settimane e gli amanti dei cammini solitamente non vedono l’ora di intraprenderlo. Questo è incredibile e si trova all’interno di un’area o meglio dire una regione, la Licia, che un tempo era una colonia greca delimitata e racchiusa dalla catena del Tauro occidentale. Questo percorso altro non è che un antico percorso romano e troverete tantissime cose bellissime da vedere, città fantasma mosaicate, case e templi greci scolpiti nella roccia, scorci naturali incredibili. Una realtà incredibile che ad ogni modo merita di essere visitata. Io personalmente ho fatto il tratto che va da Kadikoy (città fantasma) ad Oludeniz, perché ci eravamo persi e ci siano accodati ad un gruppo di trekking. Devo dire che è stato un’esperienza bellissima ed è stato bellissimo perdersi davanti a cotanta bellezza. La difficoltà è stata media, non facile, ma nemmeno difficilissima. Si presuppone un minimo di allenamento per fronteggiare l’escursione ed un abbigliamento adeguato (che io non avevo), anche perché se si decide di intraprendere questo percorso sono circa 10km al giorno da percorrere, ovviamente con soste nei paraggi. Tra salite e discese nei boschi sulle montagne, incontrerete scorci incredibili, unici al mondo. Incontrerete la spiaggia di Oludeniz, con ciottoli bianchissimi che è considerata la quarta spiaggia più bella al mondo, incontrerete diversi templi scavati nella roccia, a volte protetti e in restauro per tutelare questi beni di importanza storica. Ma d’altronde una parte della Turchia fa parte dell’Antica Mesopotamia, la culla dei popoli, quindi custodisce un’infinità di segreti. Non abbiate fretta, questo percorso e questa nazione non smetteranno mai di sorprendervi.
Vietnam: trekking a Sapa, tra risaie e sorrisi

Testo e fotografia di Vittoria @Viaggi Pirotecnici
Il ricordo del mio trekking a Sapa è quello che più mi porto nel cuore tra quelli del mio viaggio in Vietnam. Oltre a essermi riempita gli occhi di panorami di risaie sconfinati, mi sono riempita il cuore grazie a tutte le persone che ho trovato, che hanno questi giorni indimenticabili.
Sapa è una minuscola cittadina che rappresenta il punto di partenza per i principali trekking nella regione di Lao Cai, nel cuore del Vietnam del Nord, che è la casa delle minoranze etniche Hmong, Dao, Tay, Giay e Xa Pho, facilmente riconoscibili grazie ai loro abiti tradizionali coloratissimi.
Questo trekking scorre tra sentieri infangati attraverso risaie verdissime. Si intravedono da lontano minuscole casette che formano dei piccoli villaggi dove il tempo sembra essersi fermato.
I panorami sono assolutamente mozzafiato ma la cosa che più mi ha emozionato di questo trekking è quella di poter vedere da vicino la vita in questi villaggi remoti e avere il privilegio di passare la notte in casa di una famiglia locale. Sono stata ospitata da una famiglia giovane con una bimba di due anni di etnia Hmong. Mi hanno accolto in casa loro come se fossi una della famiglia e mi hanno cucinato una cena deliziosa. Abbiamo passato tutta sera a chiacchierare e ridere, anche facilitati da numerosi bicchierini di “happy water”, un whiskey di riso molto alcolico.
Questo è un trekking abbastanza facile e adatto a tutti. L’unica difficoltà incontrata è stato il fango presente in numerosi tratti, che rendeva il suolo scivoloso. Meglio prepararsi con delle scarpe adatte.
Alcuni villaggi sono raggiungibili anche in autonomia e senza una guida. Ma credo che scegliere un’agenzia (una di quelle gestite da minoranze etniche) sia un modo per fare un turismo etico e supportare l’economia locale, oltre ad avere una guida che saprà raccontare del territorio, delle usanze delle varie etnie e della vita del posto.
Un’esperienza che non dimenticherò mai e che consiglio a chiunque voglia visitare il Vietnam.
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L’immagine in copertina è una fotografia di StockSnap da Pixabay
Sono davvero tutti degli ottimi itinerari . Nella mia whish list però c’è indubbiamente il Machu Picchu. Rimane un sogno per me visitare il Perù e spero di realizzarlo presto .
Il Perù è anche nella nostra wishlist!
Non sono una particolare amante dei trekking ma devo dire che siete riusciti ad emozionarmi e ispirarmi! E’ uscito fuori un bellissimo articolo ricco di spunti e consigli. Molti di questi neanche li conoscevo sinceramente e sarei indecisa sul quale scegliere
Grazie Claudia! A nome nostro e di tutte le ragazze che hanno partecipato: siamo felici di aver incuriosito una persona non appassionata di trekking!
Un articolo molto ben fatto ed interessante; peccato che il trekking non faccia per me, sono troppo fuori forma per affrontarne uno!
Grazie Teresa! Alcuni sentieri sono effettivamente impegnativi, ma altri sono fattibili purché si rispetti il proprio passo 😊
Questi articoli sono bellissimi e super interessanti!
Non sono un’arma te del trekking ma li tengo presenti se mai cambiassi idea in una di queste parti del mondo!
Vale la pena di provare se capiterai in uno di questi luoghi unici
Da accompagnatrice trekking ormai a riposo, confesso che ho invidiato chi ha avuto la fortuna di fare questi meravigliosi (e spesso impegnativi) tracciati in luoghi così lontani. Per fortuna anche in Italia abbiamo percorsi altrettanto suggestivi.
Hai ragione, ce ne sono molti! Abbiamo in cantiere un post di gruppo sui trekking in Italia, se sei interessata a partecipare faccelo sapere 🙂
Ma che meraviglia questa raccolta di trekking dal mondo!
Ne ho fatti 4 fra quelli che avete elencato ( Sri Lanka, Indonesia, Nord del Vietnam e Turchia), ma in questo articolo ce ne sono si spettacolari.
Complimenti a tutte: bravissime!
Grazie Mimì, a nome di tutte!
Ma che meraviglia questi trekking! Mi sembra di aver viaggiato un po’ per tutto il mondo leggendo questo ricco blogpost 🙂 Complimenti a tutte le travel blogger che hanno partecipato parlando della loro esperienza.
Mi ispirano moltissimo quello in Perù (l’ha fatto mia sorella e ha amato Machu Pichu), quello in Indonesia e quello in Laos.
Frequento spesso la Svizzera e anche lì ci sono dei bellissimi percorsi di trekking immersi nella natura.
Grazie Valentina, siamo felici di aver ispirato magari uno dei tuoi prossimi viaggi! In Svizzera c’è tanta natura e bellissimi sentieri per tutte le gambe: un luogo perfetto per gli amanti del trekking e della montagna!
Degli altri itinerari ho fatto solo quello dell’alba sul vulcano Bromo, ma mi ispirano tantissimo davvero tutti! Speriamo di poter presto tornare a portare i nostri scarponi in giro per il mondo!
Puoi ben dirlo! Anche noi abbiamo avuto molte ispirazioni da questi racconti e non vediamo l’ora di poter percorrere tutti questi sentieri!